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MONTALBANO JONICO – GLI SCALINI DELLO JONIO CHE SALGONO I CALANCHI

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“Il centro storico di Montalbano è il più grande della provincia materana!”. “Non cominciare a fare il campanilista, ché in ogni paese dicono così…”. Questi contenuti, riportati qui più o meno puntualmente, hanno rappresentato l’accoglienza a Montalbano Jonico in forma di scambio di battute, curata e riservataci dal cultore di storia e sceneggiatore teatrale, giornalista in pensione e presidente del Parto Letterario “F. Lomonaco”, Vincenzo Maida. Che, oltre all’avere all’attivo pubblicazioni di carattere teatrale e l’unico romanzo storico con al centro, per il momento, la figura dell’eroina della Rivoluzione napoletana di segno montalbanese, Rachele Cassano, e altri testi, ha pronto un libro-inchiesta sulla sanità che vorrebbe mandare in stampa al più presto e con risonanza evidentemente nazionale.

Partiti dal Comune di Montalbano Jonico, quindi, con Maida ci facciamo un velocissimo giro d’alcuni punti significativi della storia del paese jonico lucano. Dove, ci tiene a riferire Madia fra le note di colore e costume per l’esattezza, da sempre vige un clima di permissivismo e tolleranza; sarà, si potrebbe aggiungere, che gli attimi di spinta libertaria risorgimentale qualcosa in qualche maniera hanno lasciato.

Ma oltre alla storia in qualche misura recente, fu proprio qui che furono ritrovate le celeberrime Tavole di Heraclea (due tavole bronzee con iscrizioni del IV sec. e custodite al Museo Archeologico di Napoli. Correva il 1732. Sbucata a qualche sollevamento d’ansia dal livello del mare, Montalbano tocca le unghie della costa metapontina e fa rimembranze, anch’essa, della gesta del valoroso Pirro. Prima che passare nelle calende romane ecc.

Non occorre essere appassionati delle iniziative del Fai (Fondo ambiente italiano), per restare esterrefatti dalla doppia cinta muraria dell’insediamento borbonico. Ché qui, appunto, si vede ancora una targa che riporta alle segrete di quegli invasori spagnoli. Uno degli elementi caratterizzanti Monbalbano, si dice, è la presenza di due cinte murarie concentriche. La seconda è del Rinascimento, quindi circa del Cinquecento. La prima addirittura risalente alla dominazione normanna, dunque verso il rinomato anno Mille. Ed ecco le feritorie. Ed ecco gli scalini che paiono ergersi dalle acque ma non erano che un appiglio dei uomini di guarda per arrampicarsi normalmente alla postazione di difesa.

Mentre i palazzi nobiliari e il balcone dell’affacciata storica dello Zanardelli della storica, novecentesca, carovana, sorvegliano un poco la memoria d’avi in opera d’intellettuali e gioia della natura in sembianza di calanco, il legami sentimentale fra Montalbano e Pomarico, più che dal suo parente Francesco Lomonaco e di certo benedetto dalla ristrutturata casa di Niccola Fiorentino. Perché il Fiorentino visse anche un poco a Pomarico. E siamo di nuovo alla Repubblica partenopea, con morti feriti e alberi della libertà poggiati nella nostra dimenticanza.

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